Il folklore milanese, per me, non è un folklore qualunque; è il terreno culturale, e sonoro, nel quale sono cresciuto. I miei genitori si sono occupati a lungo di ricerca nel campo del folklore, mia mamma ha cantato e registrato gran parte del repertorio tradizionale lombardo, mia nonna mi coccolava al ritmo del “Cavalin de Munscia” e mi faceva ridere con “La moglie di Cecco Beppe”, “Camerer portam mez liter” o con “incoeu l’è l’ultim dì”. I testi e i temi fioriti a Milano negli ultimi tre secoli, sono cresciuti dentro di me. La tradizione è proprio questo: cultura che passa attraverso le esperienze delle persone. La tradizione è una cultura senza libri, i libri della tradizione sono le persone stesse che la vivono. La tradizione non è mai statica, ma si trasforma continuamente, perché viene digerita ed elaborata dalle menti e dai cuori dei suoi fruitori. Noi siamo tradizione ed essa cresce e muore con la nostra cultura.

Tutto questo per dire che ogni cantante, ogni chitarrista, mandolinista o fisarmonicista che dir si voglia, nel proporre la tradizione propone prima di tutto “se stesso nella tradizione”. Entrando nel flusso tradizionale non si può essere asettici e “oggettivi”: l’oggettività uccide la tradizione. Nell’intonare un canto popolare tutto è lecito. Non ci sono limiti di armonia: proprio perché in origine questi canti erano tutti monodici. Quando noi sentiamo, che so, “El Grill” anche solo con l’accompagnamento di una chitarra, non stiamo ascoltando nulla di ORIGINALE né di AUTENTICO, perché quando questo canto è nato, non si usava armonizzare: i canti popolari erano monodici; melodia pura, magari con il raddoppio di un flauto o di un violino. La chitarra poi arriva dalla Spagna, e il mandolino (usatissimo a Milano nel ‘700) arrivava da Napoli.

Insomma, non c’è nulla di meno tradizionale di un “purista” incallito. La tradizione è libera; libera di cambiare e di crescere. Chi la vuol fermare la uccide.

Le canzoni che compongono attualmente MILAN SUITE sono cinque.

Ciapa on sasso, conosciuta anche come “Bella Angelina” è una canzone che troviamo in molte diverse versioni a seconda dei tempi e dei luoghi. L’impianto modale della melodia fa pensare ad un’origine molto antica. Si tratta di un dialogo tra un uomo geloso che bussa alla porta della bella Angelina con un sasso. Lei però temporeggia. Dice di essere “con il gatto della vicina che ha preso un bel topo” e chiede tempo per scendere ad aprire. Intanto l’uomo disperato le dichiara il suo amore.


El Moletta è un classico canto, di origine antica, che accompagnava l’arrivo dell’arrotino. Come si evince dalla prima strofa, questo genere di canti nasceva direttamente dai richiami degli ambulanti.

Tosann gh'è chi el moletta:

se gh'avii el cortell coì dent,

se gh'aviì la forbesetta

o dônn portemel chi...

Fa ninin popò è una classica ninna nanna tradizionale in cui la mamma mette in guardia il figlio dal carattere lunatico del papà.

Fa ninin popò de cuna

che el papà el patiss la luna,

la patiss on po de spess

fa ninin popò de gess.


El Grill è probabilmente la canzone più antica. La sua origine si perde nella notte dei tempi. Le odi al grillo si trovano fin dal medioevo, per non parlare della tradizione di madrigali cinquecenteschi dedicati al simpatico insetto che col suo canto allieta le serate d’estate. In questo caso si tratta di un breve dialogo, per l’esattezza di una proposta di matrimonio ad una formica…


Pussée bon l'è el Panetton è di tutte la canzone più moderna. Un classico “minestrone”, cioè una commistione di diversi canti, che, come viene dichiarato nel primo verso, comincia con una parodia de “La Marianna la va in campagna”. In realtà si tratta della lettura di una fantomatica lista di ordinazione al ristorante “La comanda de pacià”, che sembra non aver mai fine. Montagne di cibo, da far girare la testa. È a tutti gli effetti una canzone “pubblicitaria” della cucina milanese, che sembra scritta apposta per l’EXPO. Trovo molto interessante l’uso di interpolazioni in italiano col fine di enfatizzare la frase. Chi ha avuto una nonna milanese probabilmente sa che l’italiano era spesso usato all’interno di un discorso in dialetto, un po’ come oggi si usa il maiuscolo nei post su Facebook. Interessante anche l’uso dell’insulto “Mincion”, preso direttamente dal siciliano “Minchione”, a prova che le vere civiltà tradizionali sono sempre pronte ad assorbire. Le tradizioni sono più spugne che roccaforti, come oggi qualcuno le vorrebbe.